Maracaibo balla al barracuda si ma balla nuda, Zaza.

Si ma le machine pistole si ma le mitragliere
era una copertura faceva il traffico d’armi con Cuba
Innamorata si ma di Miguel
ma Miguel non c’era era in Cordigliera da mattina a sera.

Si ma c’era Pedro con la verde luna
L’abbracciava sulle casse, sulle casse di nitroglicerina
Tornò Miguel tornò, la vide impallidì
Il cuore suo tremò, quattro colpi di pistola le sparò.

Maracaibo, mare forza nove, fuggire sì ma dove, Zaza.

L’albero spezzato una pinna nera
nella notte scura come una bandiera
morde il pescecane nella pelle bruna
una zanna bianca come la luna.

Maracaibo, finito il barracuda, finito ballar nuda, Zaza.

Un gran salotto ventitrè mulatte
danzan come matte casa di piaceri per stranieri
centotrentachili splendida regina
rhum e cocaina, Zaza.

Se sarai cortese ti farà vedere
nella pelle bruna una zanna bianca come la luna

 

Un sacco di volte ho sentito questa canzone e ne sono sempre stato attratto.

Non è un genere che ascolto, dance latina anni 80′, eppure quando l’ascolto mi emoziona. Ci sono frasi che di colpo mi portano a Hugo Pratt,  ai caraibi, Cuba, l’avventura, armi, droga ed il contabbando.
Al viaggio.

Mi fà sentire in un fumetto di Corto Maltese.

Ho provato dare un occhiata a chi ha scritto questo pezzo ed alla storia che ci stà dietro.

Ne è uscita una storiella interessatnte:-)

Sotto un intervista a Lu Colombo e qualche aneddoto da blogretro:

Una ballata d’amore e d’evasione.

Una ballerina cubana, Zazà, che danza nuda in un locale, il Barracuda, coprendo un traffico d’armi e flirtando con Fidel (Castro), che è Miguel in ogni verso. Poi Pedro, l’amante. E la furia del primo, scoperta la tresca. Una fuga via mare, per lei, che naufraga. E un pescecane l’azzanna, risparmiandola. Scampato pericolo, sul finale, giunta a riva, una nuova vita: maîtresse ingrassata e mica sempre cortese. Rileggetevi il testo, capitene il senso. Scoprendo qui, dalle parole della sua autrice ed interprete, Luisa Colombo detta Lu, ciò che ha preceduto e prorogato per più di un trentennio, infaticabile, la fortuna di questa hit senza tempo: Maracaibo.

Partiamo da te: chi era Luisa, prima di Maracaibo?

Era una studentessa di storia dell’arte con un impiego in uno studio fotografico di Milano ed un posto da grafica in un giornale di musica – “Discoteca alta fedeltà”, si chiamava: sai, era uno di quei nomi assurdi dell’epoca! –, occupazioni combinate a una grande passione per il mondo della canzone, con una vena artistica ereditata da una madre suonatrice di chitarra. Ecco, era così, quella Luisa non ancora abbreviata in Lu, un’adolescente ai tempi dei Beatles, di Bob Dylan e dei Rolling Stones.

Perchè, per il titolo, questa città del Venezuela?

È la scelta casuale di un nome esotico, evocativo. E poi, i miei pezzi degli anni ’80 sono tutti un po’ geografici: ero io, con la mia inesperienza, la mia fame di scoperta, una giovane alla ricerca del mondo e delle sue suggestioni. Rimini OuagadougouAuroraSkipper: ciascun brano è un “ricordo” di viaggio, una canzone di evasione. Lo stesso per Maracàibo (correttamente con l’accento sulla “à” del dittongo, ndr), il cui luogo fisico, mi dicono, è in verità un posto brutto, pieno di pozzi di petrolio.

E la parte melodica?

Sono sempre stata un’amante della musica latina, soprattutto di quella centroamericana, di Cuba e Portorico, e del folklore brasiliano: si tratta di sonorità nelle mie corde, melodie di cui ho assorbito le sfumature e sulle quali ho arrangiato quella storia. Per renderla “udibile”, poi, negli anni ’80, ho ideato una sorta di dance latina, qualcosa di molto in linea col sound di quel momento.

È nata prima la musica o il testo?

Sono stati creati assieme, musica e parole, dopo avere ascoltato – ma non ti svelerò mai da chi! (ride) – il racconto delle peripezie di una donna, un’amante vera o presunta di Fidel Castro, sulle cui burrascose vicende ho imbastito il testo, descrittivo, e la melodia, ballabile, di questa canzone.

Un testo in cui ricorre Fidel, censurato in Miguel.

Sì: fare il suo nome, allora, sarebbe equivalso a garantirsi la censura. Ma un piccolo trucco come questo è bastato ad aggirare l’ostacolo e piazzare il disco, raccontando indisturbata una storia semi-vera che coinvolge amorosamente, e politicamente, il rivoluzionario cubano.

Altre citazioni, fra le righe?

Di riferimenti ce ne sono tanti, più o meno evidenti o intuibili a un ascolto attento: dal Corto Maltese di Hugo Pratt alla Zanna Bianca di Jack London. In generale, soprattutto sul piano delle sonorità, amo rifarmi ai grandi classici, e definirmi un’artigiana della musica, più che un’artista: se facessi calzature, anziché canzoni, farei scarpe inglesi, di quelle coi buchi: lavorate, di pregio, durevoli. Mi piace l’idea di assemblare “manualmente” materiali diversi, come è accaduto per Maracaibo, col suo incastro ben congegnato di dance latina e cantautorato italiano.

Tutta farina del tuo sacco, nitroglicerina delle tue casse?

No, non voglio prendermi da sola i meriti: vivevo in un contesto creativo, in quel periodo, contornata da un gruppo di amici – musicisti, intellettuali, scrittori, pubblicitari – da cui uscivano idee interessanti, e a getto continuo, utili anche, alcune, per questo pezzo. Inoltre, durante il mio impiego presso il magazine musicale, avevo avuto modo di conoscere il fonico di Spielberg, quello degli effetti speciali di E.T., che di Maracaibo avrebbe curato la registrazione; lo stesso che quel giorno, conoscendo una mia amica, se ne sarebbe innamorato e avrebbe finito per sposarla! E sempre in quella data, fatalità, ho intercettato Steve Hopkins, il produttore dei Bee Gees, che passava per Milano e si è prestato a suonare la chitarra nel pezzo. Deve esserci stata una congiuntura astrale, quel giorno, un magma di stelle che per caso s’incrociavano: c’è qualcosa di magico, l’ho sempre creduto, in quella canzone.

Collaborazioni ancora possibili, oggi?

Sì. C’era, fra tutti noi, solo un diverso il modo di riunirci, di mettere insieme le intelligenze, un po’ come accade ora sui blog, nei forum, sui siti. Un mondo che io non riesco ancora a praticare ma che sta cominciando a incuriosirmi, perchè sono certa che “un giro di avanguardia” ci sia anche oggi. E che sia lì, in rete. Serve solo stanarlo.

Quale il motivo di tanto successo, di una modernità mai arrugginita?

La capacità di trasformare una storia pesante in un’occasione di gioia, in un’aria festosa, una traccia da ballo, com’è tipico delle canzoni brasiliane: quella di Maracaibo è la storia complessa di una donna che passa attraverso mille traversie, ma alla fine ce la fa.

Un boom che, tuttavia, hai pagato caro.

Puoi ben dirlo. È un pezzo che mi ha “fatta a pezzi”, causandomi un notevole danno di immagine (ché molti, mai più persuasisi del contrario, dopo un balletto di Raffaella Carrà sulle note di Maracaibo, hanno creduto che fosse lei, la vera voce del disco). E poi, ancora oggi, a trent’anni di distanza dal debutto, chi viene ai miei concerti e ascolta due ore di bella musica, anche se acquista l’album in vendita, gira e rigira, è lì per una canzone sola: indovina?

Dalle avversità di Zazà ai versi di Joaquín Sabina, che dire del tuo ultimo lavoro?

È un disco uscito da poco, incentrato sui componimenti del cantautore e poeta spagnolo Sabina, un autore importante, molto ispirato e ancora non granché conosciuto in Italia, ai cui testi – grazie anche alle traduzioni di Sergio Sacchi, uno dei fondatori del Tenco – ho subito aderito. Si intitola “Molto più di un buon motivo” e ci sono voluti quasi otto anni per realizzarlo. Ma la gente, ai concerti, sta rispondendo positivamente. Perché se la tratti “bene”, beh, lo capisce ancora. Lo capisce sempre.

 

ilGallo

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