Giro armonico: 

INTRO:
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VERSE:
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CHORO: 
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 “HOW DOES IT FEEL, TO BE WITHOUT A HOME,
LIKE A ROLLING STONE?”


40 ANNI FA BOB DYLAN INCISE IL PIU’ GRANDE BRANO ROCK  

 (E IL MONDO CAMBIO’)

SPRINGSTEEN: “ELVIS LIBERO’ I NOSTRI CORPI.
DYLAN LIBERO’ LA NOSTRA MENTE”


 

Nigel Williamson per “RollingStone” Italia
(Nigel Williamson è all’esordio su RS Ita­lia. Ha scritto diversi libri, tra cui “The Rough Guide to Bob Dylan”, Rough Guides, 2004).
Era l’estate di quarant’anni fa e Bob Dylan stava entrando nello studio A della Columbia sulla Seventh Avenue di New York. Stava per registrare il più grande singolo nella storia della musica popolare. Sui nastri originali, al termine della quarta prova del secondo giorno – quella che fu incisa e che 34 giorni dopo sarebbe stata il più lungo singolo mai pubblicato fino ad allora – si può sentire la voce del produttore Tom Wilson che dice: «Questa per me è buona».
Dylan sapeva che era qualcosa più di “buona”. Come disse poco tempo dopo in un’intervista, la canzone rappresentava «una categoria completamente nuova». “Like a Rolling Stone” cambiò i parametri di cosa era possibile fare con quattro versi e un ritornello. Dylan poteva dichiarare senza troppa arroganza che «prima, nessuno aveva mai scritto canzoni».
In sei minuti e sei secondi – 05.59 come affermava la Columbia sull’etichetta nella speranza che scendendo sotto la soglia dei sei minuti si potessero attenuare gli scrupoli dei programmatori radio – Dylan fornì all’industria discografica la sua nemesi. Tutti se ne resero conto. A Los Angeles, dopo aver sentito “Like a Rolling Stone” la prima volta, Frank Zappa voleva abbandonare la musica. «Sentivo che se avesse avuto successo, e avesse fatto quello che doveva, io non avrei potuto fare più nient’altro», ricordò in seguito.
Nel New Jersey, un Bruce Springsteen 15enne era anche lui del tutto consapevole che nella musica “popolare” era arrivato qualcosa di completamente nuovo. «Elvis liberò i nostri corpi», fece notare quasi un quarto di secolo dopo. Ma Dylan aveva fatto di meglio e aveva realizzato un disco che «liberava la mente». A Londra, mentre contemplavano il premio “Ivor Novello”, appena vinto per “Can’t Buy Me Love”, Lennon e McCartney ascoltarono attentamente, quindi si impegnarono elevando il loro livello creativo con “Rubber Soul”.
“Like a Rolling Stone” non era tanto una canzone quanto una rivoluzione – il che spiega perché la casa editrice Faber & Faber in America ha pubblicato “Like a Rolling Stone: Bob Dylan at the Crossroads” di Greil Marcus. Da una rapida occhiata all’archivio della British Library, sembra sia il terzo caso di un intero libro scritto su una sola canzone.
La risposta di Dylan al 40esimo compleanno della sua canzone più grande è stata meno eclatante. L’ha cantata come bis agli inizi di marzo nelle prime due date del suo tour americano. Quindi l’ha sostituita con “All Along the Watchtower”: al momento in cui scrivo questo articolo, la canzone ha fatto solo un’apparizione successiva in scaletta, a Chicago, agli inizi di aprile
Giugno 1965. L’astronauta Edward White ha appena finito la prima passeggiata spaziale e l’esercito americano sta schierando unità di combattimento in Vietnam, dando inizio a un’escalation che porterà 190 mila soldati americani nel Sud-Est asiatico prima della fine deIl’anno.
Da qualche parte, nel bel mezzo di questi eventi simbolici dell’ottimismo per le nuove frontiere e della disperazione incombente del Vietnam, il 16 giugno in uno studio di Manhattan Dylan e un gruppo di session-men – il chitarrista Mike Bloomfield, il batterista Bobby Gregg, il pianista Paul Griffin, il bassista Joe Macho jr., Al Kooper all’organo e Bruce Langhorne, che brandiva lo stesso gigante tamburello turco che aveva ispirato un’altra grande canzone di Dylan – fanno storia a parte.
Dylan e Wilson hanno passato la giornata precedente in maniera frustrante con una line-up di musicisti leggermente diversa registrando una mezza dozzina di versioni poco ispirate di “Like a Rolling Stone”. Hanno provato anche versioni di “Phantom Engineer” (ripresa in seguito come “It Takes a Lot to Laugh, It Takes a Train to Cry”) e “Sitting on a Barbed Wire Fence”, nessuna delle quali sarà sull’album “Highway 61 Revisited”.
“Like a Rolling Stone” avrebbe potuto fare la stessa fine. Significativamente, nella versione del cd rom interattivo di “Highway 61” uscita nel 1995 se ne trovano dieci versioni diverse. Dopo un minuto della prima versione del primo giorno, Dylan si interrompe: «Mi sono perso, amico». La versione seguente vede un Bloomfield esasperato interpretare la parte del musicista autoritario: «Mi bemolle minore con la quarta sospesa – mi bemolle minore, senza la settima – mi bemolle minore sospeso», dice a tutti. «Proprio così», dice Dylan, provocando un mare di risate. Un’altra versione è praticamente distrutta sul nascere dall’Hammond borioso dell’organista Frank Owen, che non verrà richiamato il giorno seguente.
C’è poi la versione semi-abbozzata a tempo di valzer che abbiamo potuto finalmente ascoltare nel 1991 su “The Bootleg Series: Volumes 1-3”, nella quale Dylan si impapera sulle parole («You used to make fun about» invece di «Laugh about»), e che collassa dopo due minuti quando Dylan borbotta: «La voce se ne è andata, amici. La riproviamo di nuovo?». Anche se registrata appena 24 ore prima, è una canzone completamente diversa dalla versione definitiva: lenta, melanconica e più simile a una folk ballad che al futuro del rock&roll.
Fortunatamente, la provano di nuovo. Il giorno dopo, Owen e il chitarrista Al Gorgoni non ci sono più. Arriva il 21enne Al Kooper, la cui presenza si rivelerà cruciale. Fondamentalmente Kooper è un chitarrista, un fan di Dylan invitato da Wilson a osservare dalla sala del mixer: non è stato scritturato per suonare nella session. Ma il ragazzo ha altre idee: «La session era fissata per le due del pomeriggio. E allora io sono arrivato presto, all’una e 20 circa, con la mia chitarra, mi sono seduto, l’ho attaccata all’amplificatore e ho iniziato a scaldarmi. Alle due meno un quarto, Dylan entrò insieme a Mike Bloomfield, che io non conoscevo». Quando Kooper sente Bloomfield scaldarsi, stacca con calma la chitarra e rientra in sala mixer, sapendo di non poter competere. «Era troppo più bravo di me. Non ho mai sentito un bianco suonare così», racconterà in seguito.
Nelle prime due prove il gruppo lavora alla ricerca del suono voluto da Dylan, con Griffin all’Hammond. Quindi Wilson lo piazza al piano, in cerca di una tessitura più luminosa. Cogliendo l’occasione, Kooper dice al produttore: «Ehi, ho una parte davvero buona sull’organo per questo pezzo».
Wilson ignora l’idea, e ricorda a Kooper che non sa suonare l’organo. Ma proprio in quel momento il produttore viene chiamato fuori dalla sala mixer per una telefonata, e al suo ritorno Kooper è seduto all’Hammond. È una storia che fa parte della mitologia del rock da tanto tempo, insieme al sospetto che probabilmente sia stata esagerata da anni e anni di racconti. Ma la prova è proprio sul nastro. Quando Wilson ritorna, lo si può sentir dire a Kooper con un tono sorpreso: «Cosa ci fai lì?». I due ridono, Wilson dice: «Oh, ok». E Kooper ha il permesso di restare lì, mentre il nastro scorre per un’altra versione.
Sorprendentemente, anche se non conosce la canzone e non ha una grande padronanza dello strumento, il modo istintivo di suonare l’Hammond di Kooper fornisce subito l’elemento mancante che permette a tutto il resto di assumere una forma sensata. Dopo una prova incompleta e un paio di false partenze, catturano la canzone in una versione da cataclisma in cui gli accordi esultanti di Kooper mantengono vivo il pezzo nel corso dei suoi sei minuti, indietreggiando proprio al momento giusto per permettere alla chitarra di Bloomfield di scatenarsi, per poi rifluire di nuovo alla fine dell’assolo. Intanto, il piano di Griffin gli gira attorno e Dylan dispensa quell’acido sogghigno con arte, con un sarcasmo che si srotola dagli angoli della bocca vendicativa.
Stranamente, Dylan, di solito reticente, ha fornito una descrizione molto dettagliata del processo di scrittura della canzone. Vale la pena ripercorrerlo solo perché – come succede molto spesso con Dylan – la storia solleva tanti interrogativi quante sono le risposte che dà.
Il 2 giugno 1965, tornato in America dopo un trionfale quanto emotivamente snervante tour in Gran Bretagna (descritto brillantemente in tutta la spigolosa e nervosa intensità nel film del 1967 di D. A. Pennebaker “Don’t Look Back”, un Dylan prosciugato, stanco e indisposto dall’esaurimento e dalle droghe, si ritirò a Woodstock in una casetta di proprietà della madre di Peter Yarrow (il Peter del trio folk Peter Paul & Mary). Con lui c’era Sara Lowndes, che sarebbe stata presto sua moglie.
Sembra che in quei giorni Dylan le abbia promesso non solo di chiudere con Joan Baez (si può osservare il loro rapporto che si disfa in “Don’t Look Back”, ma anche che l’avrebbe fatta finita con il rock&roll. Poi arrivò “Like a Rolling Stone”, non richiesta e da principio non voluta. «La scrissi dopo essermene andato», dichiarò Dylan nel febbraio 1966. «Avevo letteralmente smesso di cantare e di suonare». Si trovò, invece, «a scrivere questa storia, questo lungo pezzo di vomito di 20 pagine, da cui ho estratto “Like a Rolling Stone” facendolo diventare un singolo».
Che Dylan considerasse la canzone una specie di passo avanti (addirittura un salto quantico) era evidente. «Improvvisamente capii che questo era ciò che dovevo fare», disse poco dopo la pubblicazione. «Nessuno ha mai fatto niente del genere. Chiunque avrebbe potuto scrivere le cose che scrivevo. Io le ho scritte per primo solo perché a nessun altro è venuto in mente di scriverle. Ed è successo perché ero avido di scrittura».
A questo punto la sua voce si affievolisce, come se la contemplazione della forza della canzone lo sopraffacesse privandolo dell’eloquenza. «Non sto dicendo che sia meglio di qualsiasi altra cosa», riassume, «sto dicendo che penso che “Like a Rolling Stone” rappresenti esattamente quello che dovevo fare. Dopo averla scritta non ero più interessato a scrivere un romanzo o un pezzo teatrale. Ne avevo abbastanza. Volevo scrivere canzoni. Perché rappresentava una categoria completamente nuova. Cioè, prima nessuno aveva mai scritto canzoni, davvero».
Aveva ragione. In precedenza ci era andato vicino con molti dei pezzi di “Bringing It All Back Home”, pubblicato nel marzo di quell’anno. Ma “Like a Rolling Stone” rappresentava un genere di composizione completamente nuovo, carico di allusioni surreali a personaggi quali «Miss Solitaria», il «Vagabondo del mistero» e un «Napoleone straccione», oltre a riferimenti indecifrabili a un «diplomatico» su un «cavallo cromato» con un «gatto siamese». Era una canzone che creava un mondo, misterioso e indipendente. Però, innegabilmente, era anche rock&roll, energico quanto un pezzo del canzoniere di Lieber e Stoller. “Hound Dog” di Elvis incontra “Il grido” di Allen Ginsberg in un selvaggio guaito di genio poetico.
È alquanto probabile che il «lungo pezzo di vomito di 20 pagine» rappresentasse una parte di “Tarantola”, il romanzo semi abbozzato a cui stava lavorando da anni. Si dimostrò invece essere la fine delle pretese di Dylan come romanziere, e il libro venne accantonato. Aveva già trasceso la forma e aveva capito che poteva dire più cose in una canzone di quattro, cinque o sei minuti di quante potesse dirne in un romanzo di 300 pagine.
La teoria secondo la quale il testo di “Like a Rolling Stone” sarebbe nato come passaggio pensato per “Tarantola” venne accreditata da Dylan stesso quando in seguito descrisse la canzone come «una cosa ritmica su carta» che, affermò, non aveva mai inteso come una canzone «finché un giorno non ero al piano e le parole sul foglio cantavano “How does it feel” con un ritmo al rallentatore». Nelle note di copertina per il cofanetto “Biograph” del 1985, racconterà a Cameron Crowe una storia leggermente diversa, senza accennare al ritiro né alle 20 pagine di prosa: «Scrissi la canzone in questa casetta. Eravamo venuti da New York e avevo circa tre giorni per riuscire a mettere insieme qualcosa. Arrivò semplicemente, così. Iniziava con un riff simile a La Bamba».
Il poeta laureato del rock&roll era quindi così lontano dal suo stesso passato da lasciarsi andare di fronte a un disco di Richie Valens? Di sicuro, se aveva preso in considerazione di abbandonare la musica, si è trattato di uno dei ritiri più brevi della storia: a 13 giorni dal ritorno dalla Gran Bretagna era di nuovo in studio. In quel periodo aveva scritto il «lungo pezzo di vomito», si era seduto al piano per scoprirci nascosta dentro una canzone, che aveva insegnato a Mike Bloomfield.
«Sono andato a casa sua e la prima cosa che ho sentito è stata “Like a Rolling Stone”», ricordò Bloomfield nel 1968. «Voleva che mi facessi un’idea di come suonarla. Immaginavo che volesse del blues in stile string-bending, perché è quello che faccio. Lui mi dice. “Senti amico, non voglio assolutamente roba alla BB King.” Allora mi scoraggiai davvero. Che diavolo voleva? Abbiamo cazzeggiato un po’ con la canzone. L’ho suonata nel modo che cercava lui e ha detto che era splendida».
Niente di tutto ciò ci spiega di cosa parli la canzone. Però anche in questo, Dylan è stato insolitamente disponibile. Ha raccontato che il testo deriva da «un forte astio con uno scopo onesto. Alla fine non si trattava di astio. Era un dire a qualcuno qualcosa che non doveva fare. “Vendetta” è un termine migliore… Con lo sguardo, vedi la tua vittima che nuota nella lava. Aggrappata con le braccia a una betulla. È saltare sull’albero e prenderla a calci, colpire le dita con un piede. Vedere qualcuno nel dolore in cui è destinato a imbattersi».
Ma che cosa ha portato a una tale esplosione di rancore o di voglia di riscatto? E chi era la persona a cui Dylan rivolgeva una manciata di efficaci verità? Le teorie sono molte. La sventurata Joan Baez che, come si può constatare in “Don’t Look Back”, è stata il bersaglio di tanto disprezzo e derisione nel tour britannico che Dylan aveva appena concluso? Sarebbe stato un obiettivo troppo facile. Baez stessa credeva che il soggetto fosse Bobby Neuwirth, una delle persone più vicine a Bob Dylan in quel medesimo tour. O si trattava invece di un pezzo di autoanalisi abilmente mascherato?
Nel suo libro “My Back Pages: Classic Bob Dylan 1962-69”, il giornalista di “Uncut” Andy Gill propende per questa ultima teoria, sottolineando che il nome da ragazza della madre di Dylan era Stone e che lui, ovviamente, era rotolato molto lontano da casa. Gill afferma che al centro di “Like a Rolling Stone” sta il fatto che «per conoscere davvero se stessi e realizzarsi, bisogna affrontare il mondo da soli, essere artefici del proprio futuro seguendo la propria esperienza senza le comodità dei favori o del sostegno. Ci si deve, invece, spingere lontani dalla riva, verso acque sconosciute dopo aver smarrito la via di casa».
È un’interpretazione ripresa anche dal fondatore di “Rolling Stone” Jann S. Wenner (RS ha nominato “Like a Rolling Stone” numero uno nella sua lista delle 500 migliori canzoni del mondo). «”Sei invisibile”; “non hai più segreti”. Sono parole così liberatorie», dichiara Wenner nel libro di Greil Marcus. «Non devi più avere paura di niente. È inutile nascondere una qualsiasi di queste merde. Sei un uomo libero». Secondo questa lettura, il «ghigno trionfalistico di piacere malsano» di Dylan diventa invece un momento rivelatore e liberatorio di autocoscienza.
Ma, ovviamente, quello che rende “Like a Rolling Stone” il miglior singolo di tutti i tempi non è solo la canzone. È l’esecuzione. Come fa notare il compositore Michael Pisaro, la voce di Dylan possiede sfumature infinite e l’enunciazione è carica di una convinzione tale che i suoi strati di significato sarebbero altrettanto evidenti anche se Dylan cantasse in «greco antico o in russo».
Alla fine del suo libro, Marcus ci ricorda che anche se “Like a Rolling Stone” è stato il trionfo della maestria, della volontà e dell’ispirazione, la genialità della versione che conosciamo risiede anche nel fatto che sia stata frutto di un incidente. Dal primo colpo di pistola del rullante di Bobby Gregg allo sfumare di armonica della canzone, la versione realizzata è stata un evento unico che non poteva essere ripetuto. Dylan e suoi musicisti hanno provato un’altra dozzina di versioni e nessuna di queste catturava lo spirito di quel momento. E questo, alla fine, è ciò che rende “Like a Rolling Stone” un evento raro più che un semplice pezzo di musica “popolare”. Per definizione, un evento è qualcosa che può accadere una volta soltanto. La gloria sta nel fatto che capita ogni volta che l’ascoltiamo.
LIKE A ROLLING STONE
Bob Dylan
Once upon a time you dressed so fine
You threw the bums a dime in your prime, didn’t you?
People’d call, say, “Beware doll, you’re bound to fall”
You thought they were all kiddin’ you
You used to laugh about
Everybody that was hangin’ out
Now you don’t talk so loud
Now you don’t seem so proud
About having to be scrounging for your next meal.
How does it feel
How does it feel
To be without a home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
You’ve gone to the finest school all right, Miss Lonely
But you know you only used to get juiced in it
And nobody has ever taught you how to live on the street
And now you find out you’re gonna have to get used to it
You said you’d never compromise
With the mystery tramp, but now you realize
He’s not selling any alibis
As you stare into the vacuum of his eyes
And ask him do you want to make a deal?
How does it feel
How does it feel
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
You never turned around to see the frowns on the jugglers and the clowns
When they all come down and did tricks for you
You never understood that it ain’t no good
You shouldn’t let other people get your kicks for you
You used to ride on the chrome horse with your diplomat
Who carried on his shoulder a Siamese cat
Ain’t it hard when you discover that
He really wasn’t where it’s at
After he took from you everything he could steal.
How does it feel
How does it feel
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?
Princess on the steeple and all the pretty people
They’re drinkin’, thinkin’ that they got it made
Exchanging all kinds of precious gifts and things
But you’d better lift your diamond ring, you’d better pawn it babe
You used to be so amused
At Napoleon in rags and the language that he used
Go to him now, he calls you, you can’t refuse
When you got nothing, you got nothing to lose
You’re invisible now, you got no secrets to conceal.
How does it feel
How does it feel
To be on your own
With no direction home
Like a complete unknown
Like a rolling stone?

traduzione:
 
Una volta ti sei vestita in modo molto carino
il tuo fondo schiena è stata una parte molto apprezzata nei suoi tempi migliori, non è vero?
le persone ti hanno chiamata, dicendo “Attenzione bambola, stai per arrivare al tramonto”
Tu credevi che si prendessero gioco di te
ci ridevi su
ognuno che si lasciava andare
ora non parli a voce così alta
ora non sembri così orgogliosa
di dover scroccare il tuo prossimo pasto

Come ci si sente
come ci si sente
a non avere una casa
come un completo sconosciuto
come un vagabondo (‘pietra rotolante’)?

tu hai frequentato tutte le scuole più raffinate, Signorina Solitaria
Ma sai che l’hai fatto solo per sentirti elettrizzata
e nessuno ti ha mai insegnato come vivere in strada
ed ora scopri che devi abituarti alla situazione
hai detto che non sei mai scesa a compromessi
con il misterioso vagabondo, ma ora comprendi
che non ti sta concedendo alcun alibi
mentre tu guardi nel vuoto dei suoi occhi
e gli chiedi ‘vuoi fare un affare’?

Come ci si sente
come ci si sente
a starsene per conto proprio
con nessuna fissa dimora
come un completo sconosciuto
come un vagabondo (‘pietra rotolante’)?

non ti sei mai guardata intorno per vedere le espressioni accigliate sulle facce dei giocolieri e dei clown
quando ritornavano alla realtà e ti facevano gli scherzi
non hai mai capito che non era una cosa positiva
non hai mai lasciato che altre persone si prendessero i calci destinati a te
eri abituata ad andare a spasso sul cavallo cromato con il tuo diplomatico
che portava sulla sua spalla un gatto siamese
non è difficile scoprire
che lui non è dove ha detto che sarebbe stato
dopo che ha ottenuto da te tutto ciò che poteva rubarti

Come ci si sente
come ci si sente
a starsene per conto proprio
con nessuna fissa dimora
come un completo sconosciuto
come un vagabondo (‘pietra rotolante’)?

La principessa sul trono e tutte le persone carine
stanno bevendo, pensando che è merito loro
se ci si scambia cose preziose e doni
ma è meglio che tu sollevi il tuo anello di diamanti, e che lo mostri come garanzia
eri abituata ad essere così divertita
al Napoleon indossavi abiti logori ed il linguaggio che lui ha usato…
va da lui ora, ti chiama, non puoi rifiutarti
quando tu non hai nulla, non hai nulla da perdere
sei invisibile ora, non hai più segreti da nascondere

Come ci si sente
come ci si sente
a starsene per conto proprio
con nessuna fissa dimora
come un completo sconosciuto
come un vagabondo (‘pietra rotolante’)?

ilGallo

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